È possibile che solo la Destra, vecchia e nuova, in un capovolgimento di fronti e di simboli, raccolga il grido di rabbia che sta assordando il mondo?

Il comunismo è nell’elenco delle tragedie. La socialdemocrazia assomiglia a un vecchio nonno, imbelle e con la lunga barba bianca. La terza via, quella di Tony Blair e Bill Clinton, in un’eterogenesi dei fini, ha portato alla Brexit e all’elezione di Donald Trump. La pattumiera della storia è piena di furori rivoluzionari, infantili idee di rivolta, sorpassati programmi di armoniosa convivenza civile, arroganti progetti di riforma sociale. La Sinistra, vecchia e nuova, vacilla. È identificata con le élite, l’establishment, i ricchi, il potere, le banche, la burocrazia, la casta. E la Destra, vecchia e nuova, in un capovolgimento di fronti e di simboli, raccoglie il grido di rabbia e di paura che sta assordando il mondo.

Il risultato delle elezioni negli Stati Uniti ha reso macroscopici, com’è stato detto e scritto, l’incapace autoreferenzialità dei mezzi d’informazione, il fallimento dei sondaggi, la crisi di rigetto nei confronti dell’inane linguaggio buonista. Non si può mettere la parrucca alla realtà. Quella che però manca è un’analisi approfondita e impietosa delle ragioni politiche, economiche ed esistenziali che stanno segnando il trionfo del populismo, nella sua accezione di sfiducia totale nei confronti delle attuali classi dirigenti, e la sconfitta del riformismo, in tutte le sue declinazioni.

Eppure i segnali erano ben evidenti. Ma dopo la caduta del muro di Berlino ci si è cullati nell’illusione che la democrazia, il mercato, il consumismo, il liberismo, l’integrazione, la globalizzazione avrebbero condotto l’umanità verso magnifiche sorti e progressive, per dirla con Leopardi. Ma come ammoniva lo stesso poeta citando i Vangeli, con ironico e profondo pessimismo, «gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce».

Già, le cose sono andate a ritroso. E concetti come razzismo, nazionalismo, protezionismo che covavano sotto la cenere degli anni Trenta hanno ripreso vigore e forza d’attrazione. Quando Trump annuncia di voler cacciare tre milioni d’immigrati più o meno delinquenti, suscita l’applauso appassionato di chi si sente insicuro e aggredito. Persino i metodi spicci del presidente filippino Rodrigo Duterte contro spacciatori, trafficanti e criminali possono suscitare ammirazione. È la legge dell’ordine a tutti i costi, l’irrefrenabile voglia di legalità che seppellisce ogni difesa dei diritti individuali.

Il neo presidente degli Stati Uniti nel suo primo discorso si è anche rivolto ai veterani. Hitler e Mussolini raccolsero il consenso dei reduci della Grande Guerra, derisi e umiliati da feroci pacifisti senza rispetto e comprensione per chi è morto sui campi di battaglia in difesa della Patria. Una subcultura che ancora alligna qua e là. Quanti errori, quante nefandezze, quanta miopia.

Trump vuole dar voce ai forgotten men, i dimenticati. Ma è dimenticato un boscaiolo del Wisconsin o un bimbo nero malato e denutrito? Un piccolo commerciante dell’Idaho che ha più tasse che guadagni o un siriano la cui unica scelta è tra la morte sotto le bombe o una fuga verso l’ignoto? Un operaio che perde il lavoro in Michigan o un immigrato che perde la vita nel Mediterraneo? Paragoni impossibili, paradossi dell’emarginazione. Verrebbe da dire, parafrasando il filosofo di Treviri: disperati di tutto il mondo, unitevi!

La sinistra è in grado di raccogliere e dare sintesi a tutte queste voci? No, vivacchia, attonita, cercando di gestire al meglio l’esistente. Senza memoria e senza futuro. Persino il concetto di progresso è ormai identificato con la destra, «erede dell’ambizioso impulso modernista a distruggere e innovare in nome di un progetto universale» (Tony Judt, Guasto è il mondo, Laterza).

Che fare? Si può solo ripartire dai fondamentali. Quale il ruolo dello Stato? Quale il rapporto tra proprietà privata e interesse pubblico? Quale la proporzione tra saggio d’interesse e remunerazione del lavoro, tra profitti e redditi? Quale la teoria sulla produzione delle merci e il loro valore in un’economia dominata dalla finanza speculativa e dalla robotica? Quale differenza tra capitani d’impresa e rentier? Quale il livello del fisco? Quale il concetto di patrimoniale? Come si combatte la disoccupazione, considerato che non ci sono posti per tutti? Esistono ancora le classi sociali o l’unica distinzione è tra ricchi e poveri, tra garantiti e miserabili?

Domande tante, risposte poche, confuse e contraddittorie. L’immigrazione, il terrorismo, l’Islam, la religione, la famiglia, la scuola, la sanità. Coriandoli di pensieri che il vento dell’impietosa quotidianità solleva e mischia. E poi la natura, l’arte, l’estetica. Financo il concetto di alienazione andrebbe ridiscusso. Marx, Freud e Marcuse non bastano per capire come mai in un vagone della metropolitana nessuno alza gli occhi dal proprio smartphone. Nella scala dell’evoluzione, dopo l’homo sapiens è arrivato l’homo cellularis. È l’intera civiltà in discussione. Una sfida immensa. Possibile che a raccoglierla siano Donald Trump, Marine Le Pen o Beppe Grillo? Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà. Gramsci, se ci sei, batti un colpo.

 

 

Il corriere della sera 28 novembre 2016

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *